Verifica delle fonti, bufale e notizie in Rete.
Questo post prende spunto da un altro post, pubblicato su Facebook da Giorgio Taverniti. Giorgio offre parecchi motivi di riflessione a proposito della valanga di informazioni che troviamo sui blog e sui social network. Spesso queste informazioni sono messe in circolazione da “click miners” (i “minatori dei clic”, cioè quelli che cercano di ottenere a tutti costi interazioni e clic su quello che pubblicano), ma, non di rado, allo stesso scopo, anche da testate giornalistiche accreditate.
Un esempio tipico è quello dei titoli ad effetto. Io stesso ho fatto un esperimento pubblicando su Facebook un post intitolato “Davvero incredibile! Guarda cos’è successo al ragazzo!” (potete leggere di più cliccando qui). GiorgioTaverniti prende il via da una notizia diversa, riguardante la recente mania di colorare di arcobaleno le foto dei profili Facebook per celebrare la decisione USA sui matrimoni gay.
Gira la notizia che sia stato solo un esperimento di Facebook, per motivi di marketing e comprendere meglio le opinioni dei propri utenti. Ed è proprio da qui che si parte: questa notizia è vera? Chi l’ha diffusa? Quali sono le fonti? E’ solo un sentito dire o è l’inoppugnabile conclusione di una seria inchiesta giornalistica?
Al di là delle risposte alle domande specifiche, pur importanti, sono ancora più interessanti le riflessioni di Giorgio [Trovate il post originale qui]:
Le 7 riflessioni di Giorgio Tave (e le mie 7 risposte).
- il web è pieno di persone specializzate nel lanciare bufale
- chi si occupa di informazione la sta rovinando perché tende a rendere le notizie sempre più scandalistiche
- i titoli sono diventati la notizia
- insegniamo a scuola come si verifica una fonte
- insegniamo a scuola a non condividere articoli con quei titoli del cavolo
- creiamo un’estensione da browser che denuncia tutti gli articoli che non rispettano la verifica delle fonti
- la notizia non viene più creata per informare veramente, ma solo per dare qualcosa in pasto alla macchina delle impression
Dato che la storia dell’affidabilità delle notizie in rete è un mio vecchio pallino (ne ho anche già scritto in un post intitolato L’affidabilità delle notizie in Rete e la biblioteca di Babele) provo a dire la mia.
1. il web è pieno di persone specializzate nel lanciare bufale
Indubbiamente, è vero. Ci sono semplici utenti e addirittura aziende specializzate nella creazione di notizie fasulle. A volte sembra di essere tornati ai tempi della Stasi (servizi segreti della Germania Est) e della Pravda di Breznev. Ma se ai tempi della guerra fredda c’era una disegno politico per mantenere la popolazione all’oscuro di tutto (o perlomeno di tutto quello che poteva dare fastidio al regime di turno), ora siamo all’opposto: la pubblicazione di queste notizie fasulle parte spesso dall’assunto che “tutti dobbiamo sapere”. Fateci caso. Quanti post su Facebook o su molti blog hanno nel titolo la frase “ecco quello che non vi diranno mai su…”. In realtà, il più delle volte, si tratta di informazioni esagerate, di opinioni senza costrutto, di notizie non verificate (dall’aereo che l’11 settembre non avrebbe colpito il Pentagono ai chip installati sottopelle per controllarci). Perché queste notizie vengono pubblicate? A volte per creare indignazione (motivazione politica), ma più spesso per attirare l’attenzione e generare clic, visite ad un sito web, like ad una pagina Facebook, ecc. Anche qui occorre distinguere tra chi ha l’obiettivo di portare più gente possibile verso una potenziale fonte di guadagno (es.: un sito contenente molta pubblicità) e chi lo fa per la soddisfazione di essere visto, cliccato, “piaciuto” (liked). Il sogno Warholiano dei quindici minuti di celebrità è qui amplificato benché estremamente ridotto nei tempi (ora 15 secondi sono più che sufficienti) e nel concetto stesso di celebrità: non più i milioni di telespettatori, ma, più modestamente, le poche centinaia, a volte migliaia, di fan su Facebook e follower su Twitter, Instagram, ecc. La vera domanda va dunque rivolta a psicologi e sociologi: cosa spinge la fauna social alla ricerca di un consenso così effimero?
2. chi si occupa di informazione la sta rovinando perché tende a rendere le notizie sempre più scandalistiche
Forse “scandalistiche” non è il termine più esatto (o non sempre). Le definirei piuttosto notizie sensazionalistiche, eclatanti, esagerate, bigger than life. Il concetto è comunque lo stesso di cinquant’anni fa: il cane che morde un uomo non fa notizia; l’uomo che morde un cane sì. Però se nel caso della durata della celebrità la soglia si è abbassata dai quindici minuti ai pochi secondi, il sensazionalismo ha alzato di molto l’asticella. Ora non fa più notizia neppure un uomo che morde un cane. Ci vogliono branchi di cani che attaccano gli uomini (ricordate il caso dei pitbull di qualche anno fa?) e mi aspetto da un giorno all’altro la notizia del branco di uomini che attacca a morsi un randagio. Ma, in fondo, ci siamo già arrivati, con le foto (non verificate, naturalmente) dei cani massacrati e serviti nei ristoranti cinesi (vecchie storie riproposte e amplificate da testimonianze inattendibili a cui, chissà perché, si vuole credere). Ora il dittatore non si limita ad uccidere l’avversario politico, ma giustizia chi si addormenta durante un comizio sparandogli contro una cannonata (Kim Jong-un sul Corriere). Sarà vero? Non si sa, anche perché ci limitiamo a leggere il titolo della notizia. E questo ci porta dritti al punto 3.
3. i titoli sono diventati la notizia
Leggendo l’articolo sull’esecuzione a cannonate di cui sopra si trovano cinque condizionali in dieci righe
(la carriera del generale)… sarebbe finita sotto il fuoco di un cannone
la colpa del ministro sarebbe stata…
avrebbe osato rispondere…
tutto si sarebbe svolto in tempi rapidi…
l’esecuzione sarebbe avvenuta il 30 aprile…
Una delle dieci righe, inoltre, comunica che la notizia “è stata diffusa (non al condizionale, dunque notizia certa, ndr) dai servizi segreti della Corea del Sud” (nemici storici dei Nordcoreani, ndr). Insomma: qualche dubbio sulla veridicità della notizia viene, no? E allora perché il titolo del maggiore quotidiano nazionale è “Nordcorea: «Ministro della Difesa giustiziato con una cannonata»”?
Si noti il virgolettato intorno alla frase. Il Corriere mette le mani avanti: così è stato riferito. La notizia non è la barbara esecuzione, ma il fatto che qualcuno (la Corea del Sud) abbia diffuso quella notizia.
Anche qui si usano escamotage giornalistici utilizzati da sempre: virgolettati e condizionali che sottolineano, in fondo, l’inaffidabilità della notizia. Ma molti di noi si fermano al titolo. Non approfondiamo, non leggiamo, però condividiamo immediatamente (vedi punto 5). Soprattutto le testate giornalistiche, che conoscono bene il meccanismo e hanno tradizionalmente una deontologia professionale (tradizione ormai sempre più disattesa), dovrebbero dunque limitare i titoli ad effetto. E invece sono in prima linea nel loro utilizzo sconsiderato. In fondo, il titolo urlato è anch’esso una tradizione secolare (gli strilloni nelle strade di Londra…). Perché smettere proprio ora, quando chi non urla non viene neppure percepito lontanamente? Il motivo, naturalmente, dovrebbe essere ovvio: per sottolineare la propria diversità e confermare una linea editoriale basata sulla notizia e non sul sensazionalismo. Ma è un comportamento rischioso, perché i lettori (noi) potrebbero non notare più il titolo, potrebbero non cliccarci, potrebbero non considerarli. L’editore si adatta dunque al lettore. Ma così facendo il lettore scende di un gradino nella scala evolutiva culturale, inseguito nuovamente dall’editore, in un gioco al ribasso che ci ha ormai portato a considerare notizia qualsiasi cosa ci venga proposta via Facebook.
4. insegniamo a scuola come si verifica una fonte
5. insegniamo a scuola a non condividere articoli con quei titoli del cavolo
Nel momento in cui si dà una notizia, la verifica delle fonti è la quintessenza dell’onestà. Riferire il sentito dire, senza alcuna verifica, equivale, né più né meno, a mentire. Magari poi ci va bene: la notizia era vera. Ma il punto di partenza è la disonestà. Il punto è che la verifica delle fonti sembra sempre essere appannaggio di qualcun altro: se l’ho letto, chi lo ha scritto avrà verificato. Ma non è così. Anzi: non è più così. Quando l’unica sorgente di informazione era la pubblicazione trovata in edicola, o il Telegiornale, si poteva demandare all’editore il controllo delle fonti. Non sempre si faceva bene (torniamo al caso Pravda), ma nei regimi democratici si poteva se non altro intuire un certo senso di responsabilità editoriale, almeno nella veridicità della notizia in sé. Poi, naturalmente, la stessa notizia poteva essere data con sfumature che facevano propendere verso un’opinione o un’altra. I risultati delle elezioni sono il classico esempio: Partito Uno al 40% e Partito Due al 30% veniva (e viene tuttora) letta a seconda della propria convenienza (“abbiamo vinto bene”, “non abbiamo perso male”, “per il Partito Due è stata una disfatta”, “per il Partito Uno è stata una vittoria di Pirro”, ecc.). Ma entriamo nel campo delle opinioni. La notizia “40% – 30%” era quella, e veniva data basandosi su dati certi. Punto. Ora troviamo post in cui si dice che “non è vero che il Partito Uno (o Due) è arrivato al 40% (o 30)”. Chi lo dice? Un tizio. Chi è? Boh. E nonostante non si sappia nulla di questo tizio, nonostante la sua notizia sia basata sul nulla, la condividiamo dandola per vera. Si perde traccia dell’origine della notizia e diventa una informazione “della Rete”. La Rete, questa mitologica espressione virtuale senza testa, ma con milioni di tentacoli, è diventata la Fonte. In moltissimi casi una verifica della notizia sembra facile: basta cercare un po’ in giro e si trovano siti che smascherano le bufale. Ma anche questi siti andrebbero verificati: il tizio che smaschera la bufala chi è? Boh. Possiamo fidarci? La scuola può insegnare, anzi: DEVE insegnare il discernimento attraverso la cultura. Sapete come riusciamo a capire che non dobbiamo alzare lo sguardo ogni volta che qualcuno dice “guarda! Un asino che vola”? Attraverso il confronto, l’esperienza, la cultura e la furbizia. Cose che si assimilano e vivono in famiglia, tra gli amici e, soprattutto, a scuola. Agli scolari fa ridere Renzo Tramaglino (Promessi Sposi, ma se siete arrivati fin qui lo sapete bene) raggirato da Azzeccagarbugli. Ma quanti di noi oggi vengono, come Renzo, imbrogliati da chi conosce i meccanismi della comunicazione? La scuola deve offrire strumenti culturali che impediscano di offrire due capponi al primo ciarlatano che passa. I capponi oggi si chiamano Clic, Like e Share.
6. creiamo un’estensione da browser che denuncia tutti gli articoli che non rispettano la verifica delle fonti
La faccio breve: l’idea di base è buona. Ma chi ci dice che quelli che denunciano non siano a loro volta poco informati? Una risposta possibile potrebbe essere il modello Wikipedia: le voci enciclopediche possono essere scritte da chiunque e chiunque altro le può verificare e correggere. Ma non sempre funziona, specialmente nei casi più controversi (ricordate quando hanno chiuso la possibilità di aggiornare la voce su Berlusconi perché era oggetto di continui interventi personali e pubblicazione di opinioni?). Insomma: il modello non sarebbe perfetto, ma, tutto sommato, sarebbe meglio di niente. Già mi immagino, però, frotte di “venditori di affidabilità” che offrono “10mila verifiche per 38 dollari”. Come i finti follower su Twitter e le recensioni fasulle su Trip Advisor.
7. la notizia non viene più creata per informare veramente, ma solo per dare qualcosa in pasto alla macchina delle impression
Direi che, da tutto quello che ho scritto, si evince che non solo sono d’accordo, ma considero questa abitudine una vera piaga sociale. Non riesco ad offrire una soluzione, ma sono solo un altro tizio che scrive. Forse, tutti insieme, attraverso lo scambio di opinioni, possiamo trovare un modo per evitare questo scempio. La scuola, come detto, deve fare la propria parte più di ogni altro, ma conosco insegnanti che sono tra i primi a divulgare false notizie, senza verificare, senza discernere… Posso solo concludere questo lungo articolo (scusate se vi ho annoiato) con un consiglio per tutti (me compreso):
Non prendete mai nulla per vero a prescindere. Ma leggete da più parti, più opinioni, più fonti, sentite gli amici, parlate in famiglia (e a scuola) di quello che avete letto. Soprattutto, vi prego, togliete il dito da quel maledetto tasto Condividi di Facebook.
O usatelo con molta attenzione e parsimonia. La responsabilità della diffusione di notizie false, e dunque del decadimento culturale della nostra società, passa anche da noi e dall’uso che facciamo di quello stupido, malefico, insulso e potentissimo pulsante.
Se interessati all’argomento, consiglio questo articolo del Washington Post, uscito a Settembre 2014, con altre riflessioni e un breve elenco di bufale diventate virali a livello mondiale
Parliamone qui sotto, se volete. Oppure ci vediamo in giro.
E condividete questo articolo!!!
[Scherzo…]
[No, no: fatelo…]
[ma no, dicevo per dire…]
[Cliccate, forza!…]
Maledetta schizofrenia Social!
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