L’affidabilità delle notizie in Rete e la biblioteca di Babele.

Affidabilità notizie in rete

Immagine tratta da www.lingue.uniba.it/plat/

Oggi tutti possono scrivere, pubblicare, diffondere notizie vere o inventate, su blog, social network, siti web. Come distinguere i fatti dalle fantasie è spesso molto difficile. Molti di noi ne sono consapevoli, eppure tendiamo a credere a quello che leggiamo e a divulgarlo con un clic sulle nostre pagine social, rendendo la notizia, ancora più vera, in quanto condivisa da persone di cui ci fidiamo. 

La domanda di oggi è dunque:

 

perché diavolo crediamo a tutto quello che leggiamo su Internet?

Sono tempi, questi, in cui se qualcuno suona alla nostra porta affermando di essere un controllore dell’azienda del gas che vuole verificare il nostro impianto, generalmente non gli apriamo. In effetti, è bene non farlo se non si è stati preavvisati dall’azienda stessa, o se non abbiamo richiesto noi l’intervento, se non abbiamo prima verificato.

Si potrà affermare che si viveva meglio quando potevamo fidarci e io, avendo ormai una certa età e avendo vissuto anche in piccoli paesi di provincia, posso testimoniare che è vero: stavamo meglio. Le truffe erano poche, ci si conosceva tutti e se qualcuno entrava in un bar urlando che la banca cittadina stava regalando soldi, i casi erano due: o era un nostro amico e, sapendo di poterci fidare, correvamo con lui allo sportello bancario, oppure sapevamo che si trattava del matto del paese e che quindi il massimo che poteva meritarsi era una sonora pernacchia e – al limite – un bicchiere di vino offerto dalla casa.

In ogni caso, prima di fare qualsiasi cosa, prima di decidere se fidarci o no, verificavamo la fonte della notizia.

Negli ultimi anni, grazie ai blog e ai social network, chiunque può scrivere e divulgare qualsiasi informazione. Può essere un’opinione, come questa che sto scrivendo, o una rivelazione (“hanno scoperto la cura per il cancro e ce l’hanno tenuto nascosto”). Troveremo sempre e comunque qualcuno che, prendendo la notizia così com’è, senza preoccuparsi di verificarla e senza mettere in moto alcun filtro culturale (pur essendone in possesso), deciderà di diffonderla, spesso facendola propria o comunque dandola per certa.

Il caso della cura per il cancro è solo un esempio e, purtroppo, è reale. L’ho visto.
Qualcuno ha cominciato a spargere la voce, in rete, che il professor Di Bella (molti lo ricorderanno) aveva ragione: aveva effettivamente trovato una cura per questa terribile malattia. La cosa sarebbe stata certificata da alcuni scienziati che di recente avrebbero ammesso l’efficacia di certe sostanze chimiche chiamate statine. Di Bella lo sapeva e infatti – diceva la notizia – utilizzava sostanze come la somatostatina e la longostatina. Solo che (era questa la tesi) l’allora ministro Rosy Bindi, per interessi personali, di lobby o non so che altro, aveva fermato tutto negando alla cura lo status di ufficialità che avrebbe permesso di diffonderla, sgominando così il male dal mondo.

Questa notizia si è diffusa su Facebook, e alcune persone che conosco – per nulla stupide, ma accecate dall’indignazione –  l’hanno a loro volta fatta rimbalzare facendola atterrare tra le notizie della mia homepage. Io, per natura, sono sempre stato diffidente. Ho dato quindi una scorsa al testo con grande scetticismo. Ma quello che mi ha fatto sobbalzare sono stati i commenti alla notizia. La stragrande maggioranza era formata da utenti furibondi che insultavano la Bindi, davano contro ai politici, esaltavano il povero Professore morto di crepacuore per essere rimasto inascoltato. Uno (solo uno) ha scritto che le sostanze chimiche di cui si parla nella notizia (le statine) non hanno niente a che fare con la somatostatina usata da Di Bella e che, addirittura, la longostatina citata non era neppure compresa nella cura.

Io non ho assolutamente i mezzi culturali e scientifici per affermare chi abbia ragione. Non sto scrivendo questo articolo per denigrare o sostenere una delle due tesi. Il punto è un altro: su quali basi migliaia di persone hanno gridato allo scandalo? Perché hanno deciso di fidarsi ciecamente di un articolo trovato in rete?

Ci sono parecchie risposte, ma quella sulla quale mi concentrerò maggiormente ha a che fare con quello che una volta ci faceva dire che una cosa era vera perché “l’aveva detto la televisione”. Qualsiasi cosa uscisse dalla scatola magica aveva un automatico certificato di qualità e veridicità. Non solo le notizie del telegiornale, che sarebbe anche normale aspettarsi veritiere. Anche le pubblicità!

Ricordo di avere letto un’intervista al grande e compianto Bonvi, autore di Sturmtruppen (e di tanti altri fumetti) e, per un lungo periodo, creativo pubblicitario. Una volta – racconta – aveva bisogno di un’idea per pubblicizzare un insetticida. Vedendo che tra gli ingredienti della sostanza c’era una cosa chiamata Piretro, studiò la comunicazione pubblicitaria in modo che concludesse con un perentorio “ai fiori di Piretro”.
Un giorno la mamma di Bonvi chiese al figlio di andare a farle un po’ di spesa. Nella lista c’era anche l’insetticida e Bonvi racconta che sua madre si raccomandò di acquistare “quello ai fiori di Piretro”.
Bonvi provò a spiegare che il fiore di Piretro non aveva niente a che fare con la qualità del prodotto e che si era inventato lui quello slogan, ma non ci fu niente da fare. L’aveva detto la televisione, quindi era vero.

L’aneddoto mi pare divertente e rappresentativo di quei tempi. Ma i tempi sono cambiati e, tra le cose di cui non ci fidiamo, ora c’è anche la televisione. Ma il web è diverso. Moltissima gente legge una cosa su un blog e la reputa vera perché “l’ha trovata su Internet”. La Rete, tanto osannata – giustamente – perché offre gli strumenti per approfondire la conoscenza di qualsiasi argomento, proprio a causa di questa sua caratteristica (l’inclusione del tutto) associata alla possibilità democratica e indiscriminata della pubblicazione di contenuti, è diventata fonte di notizie di tutti i tipi: vere, false e spesso in contraddizione tra loro.

Sempre più, insomma, somiglia alla biblioteca di Babele di Borges:

la Biblioteca è totale, e i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici (numero, anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto ciò ch’è dato di esprimere, in tutte le lingue. Tutto: la storia minuziosa dell’avvenire, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fedele della Biblioteca, migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo autentico, […] la traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri.

Quando ci troviamo di fronte ad un articolo preso da un blog (anche questo) o ad un post di Facebook, ricordiamoci sempre che non necessariamente contiene verità, che la sua affidabilità va verificata, che da qualche parte potrebbe trovarsi un altro articolo, o un altro post, che lo contraddice completamente.

L’unico rimedio per non perdersi in questa immensa biblioteca anarchica è affidarsi a fonti la cui reputazione è in qualche modo certificata: da una testata giornalistica, da un impegno dell’autore nella ricerca, da un’Università… Per questo motivo sono convinto che oggi, più che mai, la responsabilità degli organi di informazione (appunto: giornali, televisione, blog di larga diffusione come il Post, o l’Huffington Post, ecc.) sia aumentata. Una testata giornalistica non può e non deve permettersi d’inventarsi notizie. Gli organi delle associazioni di settore (per esempio, il tanto vituperato Ordine dei Giornalisti) hanno la grande responsabilità del controllo dell’informazione, in modo che nessuno possa osare, in nome magari di un potenziale aumento delle vendite, di creare ad arte casi inventati, notizie non verificate, titoli fuorvianti. La distinzione del giornalismo anglosassone tra fatti e opinioni è oggi necessaria e va esplicitata nel modo più chiaro possibile.

Noi lettori abbiamo solo un antidoto: la diffidenza. Ma anche noi dobbiamo prenderci la responsabilità di divulgare informazioni verificate, senza cadere nell’errore di diffondere determinate notizie solo perché ci farebbe piacere fossero vere. E’ umano, ma è sbagliato. Molto sbagliato.

Cosa ne pensate?

2 risposte a “L’affidabilità delle notizie in Rete e la biblioteca di Babele.”

  1. Elena Bonfiglioli ha detto:

    Interessantissimo articolo! Nelle università, sempre più, sta emergendo proprio la necessità imprescindibile di insegnare agli studenti un’approfondita competenza digitale ad analizzare in modo critico i contenuti trovati su Internet e a verificarne le fonti di provenienza e l’attendibilità.

    • Marco Bortolotti ha detto:

      Grazie per il tuo intervento, Elena.
      Sono felice che se ne senta la necessità anche nelle nostre facoltà universitarie. Se possibile, dovrebbe essere insegnato fin dalle elementari.

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